In etimologia si usa indicare con il termine “parallelo” un etimo che ha sì formalmente una radice diversa ma sostanzialmente ricalca il medesimo significato di un altro, utilizzando definizioni diverse per concetti similari.

Un esempio è dato dal numerale “sei” “6” che come ho scritto in questo articolo in varie lingue indoeuropee e altre in qualche modo collegate ha dei parallelismi con il concetto di sesso,  anche se in alcune lingue il collegamento non è diretto ma indirettamente collegato al concetto di sesso come “tagliare” separare i due sessi.

Ipotesi (fanta)etimologica del perché la radice del numerale “sei” “6” è la stessa di sesso

Articoli @it – Pubblicato il 24.04.2017 da Giovanni Papperini

Mi ha sempre affascinato il numerale “6” e la sua particolare relazione in molte lingue con la stessa radice etimologica di sesso e qui cerco di dare una spiegazione al mistero di questo legame: sei, sex, sesso.

Il desiderio di entrare a fare parte di una comunità, di realizzarsi compiutamente come essere umano ponendosi in relazione con gli altri è l’aspirazione comune che ha permesso la nascita dei popoli.

Tale consapevolezza della profonda natura socievole delle persone è stata raggiunta con tempi e modalità diverse dagli esseri umani e rappresentata in differenti maniere.

Le popolazioni di origine indoeuropea hanno plasticamente rappresentato la natura “social” dell’essere umano con un numero, precisamente il numero cardinale “6”.

Molti studiosi di etimologia si sono cimentati nello spiegare la misteriosa origine del numero “6”. Lo studioso che, a mio parere, si è maggiormente avvicinato alla spiegazione dell’enigma è il professor Kenneth Shields:
Folia Linguistica Historica XVII/1-2 pp. 3-12
© Societas Linguistica Europaea
SPECULATIONS ABOUT THE ETYMOLOGY
OF THE INDO-EUROPEAN CARDINAL “6”

Rimando a questo articolo per le considerazioni tecniche sulle radici etimologiche del numero “6” in latino e nelle altre lingue indoeuropee (sex, suexos) per soffermarmi sulla relazione che Shields ha argomentato tra la radice del numerale ed altre entità morfologiche. In particolare il morfema pronominale indoeuropeo – * s (w) e- ( * swe-: Lat. sui, suus, it. “suo” , proprio di sé)

La singolarità/particolarità della persona si manifesta, assume un valore compiuto , solo a seguito della “totalità” espressa dal numerale “5′ (*penkwe), che appunto precede il “ 6” .Essendo il significato originale di * penkw- ‘totalità’ (cfr studi di Nadia van Brock )

Tuttavia l’essere umano da solo non raggiunge la “totalità” appagante, la raggiunge solo quando si unisce ad un altro essere umano tramite l’atto sessuale.

In latino ed altre lingue indoeuropee sesso deriva dalla radice sex* sec- del verbo secare = tagliare, separare, in senso lato, distinguere (il maschio dalla femmina).

Il numerale “6” in qualche modo rappresenta una sorta di unione tra due esseri che va oltre la totalità della singola persona, “5”, la completa col sesso che si aggiunge alla totalità per creare qualcosa di nuovo.

Vedi numerale “6” nella lingua maya:

Interessante notare che nel proto ugro-finnico il numerale “6” è indicato con *kut(t)e da cui poi derivano in finnico, ungherese ecc. kuusi, kuus, kuuś, guhtta, kutta, koto, kuδət, hot, hat… e  *kut(t)e si avvicina molto all’inglese “to cut”, tagliare, il quale a sua volta potrebbe derivare dall’antico norvegese *kutta il quale a sua volta…..”

Questo “parallelismo” che attraversa varie lingue indoeuropee ed altre in qualche modo collegate è presente anche riguardo alla “discriminazione” “razzismo” “xenofobia” “schiavitù” “Caste” Tipi di lavoro considerati “impuri”, “degradanti” ecc.

Come avviene per le lingue nelle aree più periferiche dell’antico spazio indoeuropeo si conservano tracce più evidenti dell’originale funzione della “discriminazione”.

E lì che da millenni sopravvive la discriminazione di natura “castale”, i “colori dell’armonia”, nei confronti delle persone nate da caste inferiori o addirittura fuori casta.

I “dasa” , destinati a svolgere attività “impure” e considerati come servi, se non come schiavi.

Anche nella  “Prostituzione sacra”  destinatarie  di  questa forma di sacrificio sono giovani donne provenienti dalla caste inferiori “devadasi”.

INDIA

Suore cattoliche riscattano le “prostitute sacre” del Karnataka

Di Santosh Digal

Anche la schiavitù nell’antica Roma non era nata come organizzazione economica di per sé ma come residuo di una antichissima tradizione indoeuropea, e non solo, di divisione della società in “caste”. Divisione che serviva a preservare la società dai “demoni” dai “malvagi”, dai “barbari” dal “disordine, caos e lato oscuro della natura umana”  Nella regione periferica indiana è rimasto questo desiderio di separazione, di distinzione dei “dasa” dal resto della società. Gli antichi Romani condannavano a l'”ergastolo”, il lavoro servile a vita nei campi gli schiavi che ritenevano incorreggibili, che non potevano divenire mansueti e tenuti nelle case.

Nell’odierno “Occidente” la schiavitù e la divisione in “caste” ufficialmente non esistono, tuttavia un residuo dell’antico rimane ancora oggi trasformato in “discriminazione”, “razzismo” verso il diverso, il potenziale nemico. Malvagio per definizione, barbaro. Un suo allontanamento, una separazione netta da lui è intesa come difesa della collettività dal  “disordine, caos e lato oscuro della natura umana” .

Anche verso le moderne prostitute si  erge uno “stigma” molto alto.

Molto forte è la discriminazione verso le persone, in particolare quelle di etnia Rom, che per tradizione recuperano i rifiuti.

Una discriminazione, un odio inconscio, che è solo aumentato da vera o presunta propensione “etnica” al furto non causato da essa.

Trattandosi di un qualche cosa di inconscio, non razionale è difficile combatterlo con campagne contro l’odio, contro il razzismo ecc. Perché non si può ragionare in termini razionali contro qualcosa che non lo è.

Colpevolizzare il “razzismo” non servirà a debellarlo, perché l’essere umano “deve” avere per forza un modo per allontanare da sé i “demoni” i “malvagi”, i “barbari” il “disordine, caos e lato oscuro della natura umana”  Quindi il “razzismo” non va combattuto in quanto tale ma “sublimato” estrapolando dall’inconscio delle persone i loro timori ancestrali e superandoli.

Giovanni Papperini