Tra le più ricorrenti accuse lanciate da alcuni intellettuali contro la globalizzazione ed il conseguente incremento dello scambio planetario di beni e servizi e l’esplosione del numero degli expat, è quella dell’appiattimento. Della distruzione di tutte le “particolarità”. Su Wikipedia è stata addirittura creata una pagina apposita intitolata: “Il mondo è piatto. Breve Storia del Ventunesimo Secolo” da un libro del 2005 del sociologo inglese Thomas Lauren Friedman. Una visione negativa della globalizzazione è anche espressa da Zygmunt Bauman in “La solitudine del cittadino globale”
Da ultimo l’antropologo Ugo Fabietti in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera “C’erano una volta i popoli nomadi. Oggi lo siamo tutti” fa trapelare una profondissima nostalgia per il periodo antecedente l’odierna globalizzazione. Quando imperversava il “protezionismo”. Il mondo era diviso in “blocchi” contrapposti. In Cina  decine di milioni di persone morivano letteralmente di fame. Nell’allora Unione Sovietica in nome di una impossibile vittoria contro il sistema capitalista si soffocava la libertà dei popoli e si commettavano i peggiori crimini contro l’ambiente come il prosciugamento dell’immenso lago di Aral.
Significativa la frase finale dell’articolo di Fabietti: “All’antropologo resta solo un dubbio, già adombrato nei Tristi tropici di Lévi-Strauss: cambiare luogo, certo, ma perché se, alla fine, ogni luogo del mondo avrà sempre più l’aria di essere simile a un altro? ”
Ebbene le considerazioni di Lévi-Strauss sono prive di senso perché scaturite da un assioma falso: non è vero che la condizione naturale dell’essere umano è quella di tendere a diversificarsi dai suoi simili!
Sono le circostanze esterne, geografico-ambientali, che hanno provocato modificazioni dei lineamenti e della pelle, e storico-culturali ad aver creato esteriori “diversità”.
La tendenza naturale dell’essere umano è quella di ricostruire la perduta unità originaria, non persistere all’infinito in una “diversità” forzosamente createsi nel passato”. Diversità causata da contingenti fattori esterni, a quell’epoca non controllabili dall’uomo.
Con la interconnessione in rete e con la “globalizzazione” è come se l’Umanità non facesse altro che ripercorrere l’originario alveo di un “fiume primigenio”.
Alveo parzialmente interrato da millenni di sconvolgimenti storico-ambientali, ma che adesso si sta riscoprendo e dove sta affluendo acqua da milioni di affluenti. Il “Grande Fiume dell’Umanità” ha ricominciato a scorrere!

Giovanni Papperini