La chiusura delle frontiere ingrossa il radicalismo islamico
il 09/04/2017
Può sembrare un paradosso ma il radicalismo islamico acquisisce nuovi adepti in contesti di isolamento di comunità islamiche immigrate quando, per vari motivi, si interrompe il flusso di arrivi dalle nazioni di provenienza.
Questo avviene perché la religione, come il cibo, la lingua, il modo di vestire è una della modalità di conservazione e trasmissione ai propri figli dell’identità di origine. Più le comunità sono isolate per via dell’interruzione del flusso dai loro paesi di origine e maggiore è la spinta identitaria. Talora diventa parossistica, quasi ridicola, se non assumesse connotati drammatici con il radicalismo religioso o pseudo tale.
E’ un dato incontrovertibile noto, ad esempio, tra gli studiosi del linguaggio, nelle ex colonie la lingua conserva delle caratteristiche perse ormai nella madrepatria.
Qualcosa di similare avviene in comunità come quelle islamiche. Mentre nel Magreb la società si evolve velocemente e tende ad entrare nel mondo globalizzato nelle comunità immigrate in Europa si rafforza lo spirito di conservazione identitaria delle proprie tradizioni. Questo avviene in particolare quando si interrompono i flussi di entrata dai paesi di origine o si riducono gli scambi commerciali e culturali, anche in seguito ad attentati terroristici ispirati dall’ISIS. Attentati che non solo inducono le autorità a stringere ancora di più i cordoni dell’immigrazione, ma, ancor più grave, provocano un clima d’odio contro gli islamici in generale. Diventa difficile in quei frangenti anche solo organizzare incontri culturali, favorire investimenti diretti provenienti da tali paesi, riannodare contatti che nel passato hanno reso più vicine le sponde del Mediterraneo.
Restrizioni nell’immigrazione possono essere inevitabili, per evidente impossibilità di gestire flussi incontrollati di persone in cerca di lavoro. Quello che andrebbe evitato è l’isolamento delle comunità già immigrate. Favorire l’immigrazione circolare e temporanea con scambi di studenti, di personale di alta qualifica professionale, di tirocinanti come previsto nella Direttiva UE 66/2014, potrebbe ridurre l’isolamento delle comunità già presenti sul territorio. Tuttavia forse ancora più importante è evitare lo scontro muro contro muro. Non è necessario insultare gli islamici per rivendicare il diritto di avere un controllo alle proprie frontiere. Non è una questione di political correctness , si può pretendere maggiori controlli alle frontiere e sul territorio e pretendere che le espulsioni siano portate a termine senza necessariamente odiare gli islamici.
Giovanni Papperini